Lug 31

Relazione “Oltre Babilonia”

(di DONATELLA LA MONACA)

All’interno del romanzo “Oltre Babilonia” componente rilevante è la musica. Del resto il titolo stesso, come si evince dalle parole di Zuhra nelle ultime pagine del libro, è tratto da una canzone di Bob Marley, Babylon. Sentendo un gruppo di ragazze a scuola parlare di Babylon come di «quanto di peggio possa esistere al mondo[…] la feccia, il vomito, lo schifo, il dolore», Zuhra pensa silenziosamente nelle sua testa che avrebbe «tanto voluto vivere oltre Babilonia».

Il romanzo è un vero e proprio caleidoscopio di eventi e racconti, un crocevia di storie, incontri, esperienze di persone diverse e distanti appartenenti alle più variegate culture, origini e tradizioni, ma intrecciate tra di loro e accumunate dalla medesima difficoltà di raccontare la propria storia. L’incomunicabilità domina quindi incontrastata tra le pagine di Oltre Babilonia, quella tra le madri e le proprie figlie, quella di Majid con Famey prima e con Bushra dopo, quella di ogni personaggio nei confronti del proprio inconscio. Ma a un certo punto i vari personaggi rompono il silenzio per tentare di porre fine alle sofferenze e iniziano a raccontarsi in modi diversi: chi tramite la scrittura come nel caso di Miranda, della Flaca, di Zuhra, chi registrando la propria voce su cassette come Maryam ed Elias. Tuttavia spesso, più delle parole scritte o di quelle registrate, a rompere il silenzio dilagante è proprio la musica che, attraverso le citazioni di cantanti e melodie, fa da colonna sonora al romanzo svelando verità molto più eloquenti. Non a caso Zuhra lavora in un megastore, in cui è responsabile del reparto dischi. Nonostante sia poco ferrata sull’argomento, non esita a mostrare i propri gusti personali rivelando la sua passione per Caetano Veloso, anche se costretta ad ascoltare quotidianamente a lavoro Britney Spears e tanti altri da lei definiti «spazzatura». E proprio lei, mentre si trova a Palermo in attesa del traghetto per Tunisi, «tutta affetto e buoni sentimenti» sente «July Garland cantare Somewhere over the rainbow»; o ancora, a Tunisi, vorrebbe rispondere ad una ragazza insolente che l’ha offesa citando Samuele Bersani. Pensando all’infanzia ricorda, ancora, la madre che le cantava le ninnananne in somalo, la lingua di Maryam, e in fondo anche la sua, una lingua fatta di «storia, poesia, musica e canto». Anche Miranda cantava spesso alla figlia quando era bambina. C’era quella canzone, Alfonsina y el mar del cileno Victor Jara, che a Mar piaceva tanto. «Mamma Miranda aveva una voce piena di dolori. Sembrava come l’Alfonsina della canzone, vestita del Mare. Le sue braccia erano onde. Una voce antica de viento y sal». A Miranda piaceva cantare, le sarebbe piaciuto «diventare una pianista come Rosalyn Tureck. […] volare su quei tasti di avorio e ebano come un’equilibrista folle», ma purtroppo aveva quelle mani tozze! Ernesto, il fratello desaparecido, invece suonava il pianoforte magnificamente e cantava anche. Spesso accompagnava la madre nei suoi inconsolabili fado, in cui c’era la sua storia, il suo passato, il suo dolore. «Mamma cantava della malinconia che non turbava se si era in compagnia». Ernesto però era più moderno: gli piacevano i Beatles, i Rolling Stones, Bob Dylan. Aveva regalato un album di Dylan alla Flaca, la sua fidanzata, ma lei non aveva avuto neppure il tempo di scartarlo: Ernesto quel giorno fu catturato e non lo avrebbe più rivisto. Ecco perché la Flaca ama tanto Bob Dylan. «Le avevano rubato i suoni quei bastardi». Non parlava molto, non più, però scriveva, cantava. D’altronde era una ballerina e la musica era la sua vita. Era una promessa per l’Argentina, ma il destino crudele ha interrotto il suo sogno. E così anche Miranda, legata alla Flaca da un vincolo indissolubile, un amore viscerale, a tratti ambiguo, ama anche lei Dylan; probabilmente perché nelle sue canzoni rivede il fratello. Ascolta anche De Andrè, forse perché vi ritrova il padre originario di Genova. E poi c’è sicuramente Gardel, nelle cui canzoni riusciva a rivedere il suo «lato oscuro da perdente», da traditrice, per essere stata per anni l’amante di un uomo crudele, Carlos, probabilmente uno dei torturatori del fratello.

Dunque canti spesso legati a ricordi dolorosi, alla sofferenza, come quando Bushra invoca il ritorno del marito sano e salvo; o ancora come quando Famey, dopo la tragica violenza subita da lei e Majid, «sussurava all’orecchio di lui le parole di una ninnananna sfumata».

Altre volte queste note sono associate ad eventi storici, alla storia di un paese, come nel caso dei canti patriottici cantati a Mogadiscio nel 1960, anno dell’indipendenza tanto agognata per la Somalia. Da sottofondo nel medesimo clima di festa c’è la voce di Marilyn Monroe che canta in Quando la moglie va in vacanza, film che Maryam va a vedere al cinematografo con la sua nuova amica Howa Rosario.

Una Somalia fatta anche delle melodie intonate dai lavoratori nelle piantagioni di banane, in cui per un periodo aveva lavorato anche Maryam, per alleviare le fatiche del duro lavoro. «Maryam si sintonizzava sulle parole dei canti.[…] cantare liberava lo spirito dagli spettri e dai ginn, cantando anche la vita diventava più facile». Tra i ricordi di Maryam vi è sicuramente lo Stunn, la festa della bastonata ad Afgoi; in particolare il viaggio in cinquecento coi cugini e l’amica Howa, quando la comitiva si intratteneva cantando a squarciagola. Il repertorio era vasto: dalle «armonie sanremesi di Gianni Morandi e Rita Pavone» intonate magnificamente da Howa, ai «ritmi moderni, sincopati» degli americani Wilson Pickett e Sam Cooke, prediletti da Maryam.

La musica dunque può essere un modo per raccontare, ricordare momenti piacevoli e insieme dolorosi, può essere un sostegno cui aggrapparsi, in cui trovare conforto. Trasmette messaggi, dà consigli, fa riflettere, incoraggia anche a pensare che un futuro migliore è realizzabile; è possibile passare oltre le sofferenze, andare oltre Babilonia. E’ così che una canzone di Ben Harper infonde tanta fiducia in Zuhra: «Now I can change the world with my own two hands. […] A volte mi scordo di avere tanta forza in me, di avere speranza anche, e felicità. Mi scordo che nell’uomo tutto è conquista dell’intelletto e della propria volontà. Conquista delle nostre due mani. Anche le mie donne somale, perciò, potranno cambiare il proprio destino con le loro due mani. Ah sì, le mie donne somale lo faranno, lo sento».

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