‹‹Matteo e il bambino riprendono a salire in curva per il fianco arrotondato dell’altura, dietro a cui si profila, un due o trecento metri più lontano, una grigia schiena di roccia. […] Matteo invece aguzza lo sguardo, e d’un tratto piglia il braccio il marmocchio e lo solleva per mostrargli eccitato lo spettacolo di cui sono giunti in vista: la grande rupe grigia, le profonde rughe parallele che la segnano dall’alto in basso come canne di un organo e, seduta ai suoi piedi, una piccola città contadina con case di roccia e fili neri di vigne piantate nella roccia››.
Elio Vittorini, Le città del mondo. Una sceneggiatura, Einaudi, Torino, 1975, p. 12.
‹‹E credo che sia una delle più fiere città che esistano al mondo. Sicuro, Nardo; credo che sia lei; credo che sia la potente Tebe di cui ti ho raccontato che riuscì a liberarsi per opera di un giovane chiamato Edipo dal dominio di un mostro metà donna e metà leonessa ch’era chiamato la Sfinge. Perché la rupe lì ha tutta l’aria d’essere precisamente quella dove la Sfinge aveva la sua spelonca››.
Elio Vittorini, Le città del mondo. Una sceneggiatura, Einaudi, Torino, 1975, p. 13
