«S’era fermato a Caltanissetta perché aveva subito intuito che qui la noia toccherebbe un punto che altrove non aveva mai sfiorato. La cittadina di pietra gialla, sospesa su una squallida pianura; l’albergo affacciato sulla piccola stazione da cui trenini affaticati gettavano ogni tanto uno stridulo grido; i portoni chiusi di prima sera, ai piedi dei quali i cani roteavano su se stessi cercando di mordersi la coda; le nuvole che passavano di gran corsa, cacciate dea un vento che non aveva tregua; la statua del Redentore in cima a un colle su cui piovevano gli sguardi dei carcerati dalle finestre di un casamento livido; le fabbriche di chitarre ai piedi di vecchie chiese; il mantello del federale zoppo nella nebbia del tramonto; gli avvocati che gesticolavano davanti al portone di casa, mentre sul loro capo, stesa a un filo tra balcone e balcone, la loro camicia gesticolava anch’essa; le conferenze sull’impero, le paoline… cosa gli mancava per portare la noia al grado dell’esultanza?».
Vitaliano Brancati, La noia del ’937, in Id., Racconti, Teatro, Scritti giornalistici, “I Meridiani Mondadori”, Milano 2003, pp. 280-1.
