Lug 31

“Nonno Dio e gli Spiriti Danzanti” di Pap Khouma

Pap Khouma, scrittore senegalese di nascita e milanese di adozione, torna dopo un decina di anni alla narrativa con il romanzo Nonno Dio e gli spiriti danzanti, pubblicato nel 2005.
Protagonista è Og Dem, un immigrato africano che vive e lavora a Milano come infermiere e che dopo sette anni di assenza decide di far ritorno in patria, un luogo immaginario chiamato Sahael, situato in un punto imprecisato dell’Africa occidentale, un po’ Senegal un po’ Mali, per trascorrervi le ferie.

Attraverso il suo viaggio l’autore narra la storia di un mancato rispecchiamento nella propria terra, nelle persone che sono rimaste a vivere lì, nei valori della cultura d’origine messi in luce dal titolo stesso: il senso religioso e la dimensione magica.

Og infatti tornando non trova più la vita che aveva lasciato: Sagar, la moglie dimenticata, dopo tanti anni di attesa ha un amante; suo figlio Mori, nato dopo la sua partenza per l’Italia, lo tratta da sconosciuto. Solo Penda Mangane, la madre, dopo alcuni rimproveri per la sua lunga assenza, lo accoglie calorosamente. Og si muove come un estraneo tra le persone a lui più care e tra i riti più radicati della sua terra. In realtà ad essere cambiato è proprio il protagonista che, ormai cittadino d’Europa, vive e si comporta da vero tuobab, come vengono definiti lì i bianchi: «non è più abituato a camminare nella sabbia con le babbucce […] rimpiange il freddo e la pioggia di Milano». Sullo sfondo invece, un paese africano immutato: la corruzione dei doganieri all’aeroporto d’arrivo; i bambini che giocano per le strade polverose; la madre che esorta Og a rispettare il precetto coranico della preghiera in un islamismo privo di rigorismi, dove Allah diventa appunto “Nonno Dio”, il componente tra i tanti di un’unica grande famiglia. Un paese ridotto al caos, all’anarchia, sempre sull’orlo della guerra civile, in mano a bande ribelli rivali, manovrate dalle grandi potenze occidentali interessate al controllo del territorio. Anche Birago e Fidel Ernest, i vecchi amici di Og, sono disorientati, l’anima divisa tra la necessità di rimanere mostrandosi forti, la possibilità di guadagnare qualcosa arruolandosi tra i ribelli e il desiderio di mollare tutto e andarsene via.

A Og manca paradossalmente Milano, dove al suo arrivo ha vissuto diverse difficoltà di inserimento e dove l’unica persona che per lungo tempo gli ha rivolto la parola era un’anziana vicina, morta in casa da sola senza che nessuno se ne accorgesse. Ora però in Italia ha un lavoro gratificante ed ha una relazione con Federica, una ragazza italiana da poco rimasta vedova di un suo amico africano, Mar Lam.

Interessante e coraggiosa, da parte dell’autore, l’evidenziazione dell’esistenza dei pregiudizi da entrambe le parti nell’incontro tra Europei ed Africani: nel romanzo i Toubab non conoscono la geografia, non si lavano, sono gracili di salute, vogliono rubare i segreti delle pratiche magiche: « Sei raffreddato, figliolo? chiede il tassista. ‘Oh, mi dispiace, te l’hanno attaccato i toubab! Non hanno una salute di ferro come noi. Ils sont fragiles les toubabs. Qui si ammalano appena cambia il vento». Emerge una concezione della vita e un modo di pensare totalmente opposti. Dice ancora il tassista: «Sapessi quanta gente muore di stupide malattie tutti i giorni in questo paese! Tu hai solo perso due valigie e un borsone. Ti rimangono la salute e la pace nel corpo. Non fare il toubab, fratello, ringrazia nonno Dio perché è generoso, non ti ha ancora tolto la vita. Chi vive aspetta! Benvenuto nel Sahel».

L’atmosfera magica dell’Africa nera legata ai riti e alle superstizioni, fa da sfondo alla narrazione: dai gri-gri, gli amuleti che proteggono i vari momenti della quotidianità, alle pratiche magiche del n’depp, con cui si invoca la presenza degli spiriti mentre i posseduti entrano in trance.

Nel romanzo ruolo rilevante è attribuito alle donne africane, vero cuore pulsante del Sahaél, le quali, animate da una grande energia che traggono dalla magia, dalla fede religiosa e dalla consapevolezza del loro antico potere femminino, tentano, attraverso l’istituzione di una “Coalizione delle donne”, di divenire un soggetto politico in grado di affrontare le sfide e mettono in atto una insolita ribellione anti-maschio che, purtroppo, verrà spazzata via da un colpo di stato «fulminante come la malaria».

Il finale del romanzo, tuttavia, non lascia molto spazio alla speranza. Og, prima di lasciare Milano, ha litigato con Federica e si sono lasciati bruscamente: il protagonista non immagina minimamente che la ragazza, dopo la sua partenza brusca, ha subito una grave aggressione di cui viene incolpato proprio lui, vicenda questa che determinerà il suo destino. Imbarcato su un volo per l’Italia con l’accusa infondata di omicidio, è un uomo spossessato da se stesso, privato di tutto, svuotato, come, in fondo, il paese a cui appartiene e che è costretto a lasciare.

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