La letteratura della migrazione pubblicata in lingua italiana può essere considerata una area di studio relativamente recente visto che i primi testi narrativi compaiono già all’inizio degli anni novanta. Il primo studioso in Italia a riconoscere e seguire fin dal suo nascere quella che sarà egli stesso a definire la letteratura italiana della migrazione è Armando Gnisci, docente di Letteratura Comparata presso l’Università La Sapienza di Roma. Nel suo testo critico, Creolizzare l’Europa: letteratura e migrazione, che raccoglie quattro saggi dell’autore pubblicati dal 1992 al 2002 possono essere individuati alcuni degli iniziali punti cardine da cui ha preso avvio la ricerca e il dibattito sul settore.
Nel primo contributo, Il rovescio del gioco (1992), accortosi dell’importanza di questo nuovo fenomeno, Gnisci analizza due testi di scrittori maghrebini, migranti di prima generazione: il romanzo Immigrato (1990) di Salah Methnani scritto in collaborazione con Mario Fortunato, e la raccolta di racconti Dove lo stato non c’è (1991) di Tahar Ben Jelloun scritto in collaborazione con Egi Volterrani. Per quest’ultima opera tuttavia, vista l’importanza dello scrittore, lo studioso avanza l’ipotesi che possa trattarsi di una mera operazione editoriale. Trattando entrambi gli scrittori del viaggio che hanno compiuto in Italia da sud verso il nord, ciò che suscita l’interesse dello studioso è la nuova prospettiva, in contrapposizione ai classici tour di direzione opposta, attraverso la quale osservare il nostro paese. Lo stereotipo dell’Italia come giardino di bellezze con il suo sud decadente e paradossalmente esotico risulterà completamente messo in discussione e crudamente ribaltato. Non sfugge inoltre all’autore che l’emigrazione del popolo maghrebino differisce da quella degli emigrati italiani per la ferita che i primi hanno dovuto subire a causa della colonizzazione. Grato dell’incontro con questi autori, che dichiara avergli letteralmente cambiato la vita, prenderà avvio per Gnisci l’impegno militante di studioso, divulgatore e promotore nonché compagno di lotte a fianco dei migranti in Italia.
Il secondo saggio, Letteratura italiana della migrazione (1998), vedrà l’autore impegnato in una vera e propria apologia di tale corpus di testi, che a buon titolo ritiene debba considerarsi una branca della letteratura italiana. Attraverso una breve panoramica storica, l’autore individua fondamentalmente due fasi. La prima, definita esotica, del triennio 1990-92, ha visto nascere l’interesse da parte di grosse case editrici per il problema dell’emigrazione nell’intento di soddisfare la richiesta di una nicchia di lettori italiani. Esauritosi il fenomeno commerciale, la letteratura italiana della migrazione è entrata in quella fase, definita carsica, che gli ha consentito, seppure con grosse difficoltà, di arricchirsi e strutturarsi come autentico fatto letterario. Piccole case editrici, giornali e riviste legate al mondo no-profit, e il premio letterario Eks&Tra per scrittori immigrati sono divenuti fecondo ricettacolo e banco di prova per autori/autrici di tutto il mondo e scriventi in italiano. Ritenendola capace di rinnovare le letterature europee sia per tematiche che per linguaggio, Gnisci, la cui critica letteraria vuole essere dichiaratamente impegnata e parziale, individua in essa principi ed elementi da cui trarre un vero e proprio insegnamento capace di farci uscire dal nostro atavico eurocentrismo: l’utopia della pluralità e della parità dei mondi, così come l’identità multipla quale valore da contrapporre al principio dell’identità come unicità, tipico della cultura occidentale.
Nel terzo e appassionato saggio, Perdurabile migranza (2001), l’autore mette in correlazione la nascente xenofobia razzista dell’Italia, nonché la presa di distanza della cultura alta italiana dagli studi postcoloniali, volti a decolonizzare l’Europa dal proprio eurocentrismo, con un doppio rimosso storico: l’emigrazione della popolazione meridionale e la disastrosa impresa coloniale italiana. Fatti storici questi che ritiene congiunti e sollecitati dalle politiche nazionali che si sono succedute nel corso del XX secolo. Da pugliese emigrato egli stesso, il critico auspica il superamento della mistificazione, ormai sempre meno difendibile, dello stereotipo di italiani “brava gente”. Accostarsi dunque alla letteratura dei migranti ex-colonizzati diviene indispensabile per ridefinire l’identità italiana stessa. Accordando alla letteratura precipue funzioni politiche ed etiche volte a ribellarsi contro il disumano che domina e avanza, l’autore si pone a questo punto il problema di come individuare quei criteri capaci di valutare il valore estetico dell’opera letteraria della migrazione. Considerando tale aspetto della questione estensibile alla valutazione di tutta l’opera letteraria in genere, Gnisci fa propria e riprende la massima di Eugenio Montale che riteneva opera d’arte solo quella capace di cambiare la vita di chi la fruisce.
Con l’ultimo contributo, Lettere migranti (2002), Gnisci, in risposta alla giusta insofferenza da parte di alcuni scrittori stranieri d’essere relegati nella nicchia di scrittori migranti, propone un ribaltamento del problema estendendo e valorizzando il termine migranza stesso. Per lo Gnisci comparativista lo scrittore migrante è colui che attraverso la propria costante condizione di transito, attività primordiale della nostra specie, nel suo avventurasi oltre nuove frontiere acquista e dispensa valore aggiunto, accresce la presenza del letterato nel mondo e creolizza le contrade dove si ferma. Non a caso tra gli scrittori migranti annovera Xavier Marías e Calvino, accanto a Rushdie e Kundera. Il critico rigetta l’idea di un universale letterario, prediligendo invece una “sapienza letteraria” intesa come un imparare senza fine a essere letterato/a. Inoltre propone di chiamare Lettere migranti quel movimento di studiosi delle discipline dell’umano e di scrittori che, attraversando la diversità dei mondi e dandosi come fine, metodo e poetica quello di Creolizzare l’Europa, si pongano consapevolmente in testa al ‘trasumanare’ della specie, qui nel significato di avventurarsi attribuitogli dall’autore.
[1] Armando Gnisci, Creolizzare l’Europa: letteratura e migrazione, Roma, Meltemi 2003
