Lug 22

“Al mio giudice” di Alessandro Perissinotto

(di GIADA FRICANO)

Una sera di aprile Luca Barberis, giovane proprietario della “Titano Informatica”, azienda leader nel campo della creazione di software per la protezione di transazioni on-line, uccide Giuliano Lajanca investendolo, di proposito, con la sua automobile.

Al mio giudice inizia proprio con la fuga dell’omicida. Luca Barberis non scappa per sottrarsi alla giustizia ma nel tentativo di posticipare il momento della cattura fino a quando non avrà portato a termine il suo fine: “scoprire e uccidere”.
Perissinotto si rivela molto abile nella costruzione di questa sua ultima prova narrativa poiché riesce ad unire, riformulandole, tecniche tipiche di generi letterari diversi. Il romanzo noir è strutturato come un moderno epistolario, costituito dalle e-mails che si scambiano Luca e il suo giudice istruttore, Giulia Ambrosini. Le caratteristiche dell’epistolografia classica vengono scardinate e risemantizzate in modo tale da implicare un nuovo rapporto tra i corrispondenti basato su un diverso concetto di tempo e spazio:

È questo il bello di internet, che ridefinisce il concetto di presenza: io ora sono vicino a lei, eppure non mi può catturare, non mi può afferrare. In rete siamo vicini, ma siamo solo numeri; non siamo meno veri, non siamo virtuali, siamo solamente tradotti in cifre. (p. 13)

Approfittando dei “miracoli della posta elettronica” per cui “ci si può travestire per essere più veri, più autentici” (p. 19), l’assassino gioca a rimpiattino con il suo giudice: tesse indovinelli e svela enigmi, dà suggerimenti per la sua cattura mentre continua a fuggire, ma soprattutto rivela al suo inquisitore la “scoperta di un cammino”, gli permette, cioè, di “capire come si diventa assassini” (p. 38)

Il romanziere torinese, che per l’analisi del delitto fa un continuo riferimento a Simenon e Camus, rielabora anche, sapientemente, il topos letterario della confessione: in un’atmosfera dostoevskjiana (Delitto e castigo è citato apertamente, ma si pensi anche a Memorie del sottosuolo) riecheggiano anche alcuni personaggi landolfiani (Maria Giuseppa; La muta) e di Malerba (Il serpente) che, in uno spazio claustrofobico, svelano i propri crimini sopraffatti da un incoercibile impulso fatico.

Al mio giudice è la confessione, criptata, di un assassino per il quale la scrittura diventa un atto apotropaico, capace di allontanare la paura del silenzio, e al contempo un modo di esorcizzare i propri demoni:

È che una volta scritte le cose diventano asettiche, ma se lei potesse vedere quello che vedono i miei occhi quando sono chiusi! Se lei potesse entrare in uno degli incubi che ogni notte popolano il mio sonno, scoprirebbe quanto è incancellabile l’orrore di chi uccide. La gente crede che se davvero si provasse orrore non si ucciderebbe una seconda volta; invece è proprio l’enormità di quell’impressione a suggerirti che oramai sei dall’altra parte, che oramai niente può alleggerire quel peso e niente può aggravarlo, non un altro omicidio, non una strage, non uno sterminio. (p. 9)

Nello spazio chiuso di una camera d’albergo, con uno stile ibrido in cui i registri del parlato sono ‘contaminati’ dal lessico specialistico della new economy e dell’informatica, Barberis confessa, si analizza e nel frattempo cerca le risposte ai suoi interrogativi: perché proprio quando era all’apice del successo è stato incastrato dal suo cliente più prestigioso? Il responsabile del fallimento della Titano Informatica quali vantaggi ha tratto dal tracollo finanziario di Barberis?

Mentre Luca da inquisito si fa inquisitore, vengono commessi altri delitti, tutti misteriosamente collegati all’uccisione di Lajanca: l’omicida riprende la sua fuga e si ferma solo quando giunge ad Amsterdam.
Nel tentativo, tenace ed estenuante, di svelare le trame labirintiche e immateriali della realtà virtuale, il protagonista farà quotidianamente esperienza del degrado di cui si compiace il mondo reale. Rifugiatosi nel quartiere a luci rosse di Amsterdam, “a metà tra Disneyland e Gomorra” (p.215), l’assassino con un’analisi lucida, che evita una fin troppo facile retorica, ridisegna i confini labili tra bene e male, innocenza e colpevolezza, seziona chirurgicamente l’abiezione dell’animo umano e, per volontà di perdita di sé o espiazione, da questa abiezione si lascerà sommergere.

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