Mag 22

Vittorio Schiraldi – Made in Sicily

«Il morto, per essere morto, era morto sul serio»: è l’incipit fulminante di Made in Sicily di Vittorio Schiraldi (edizioni Marlin, pagine 226, euro 13,50) prolifico romanziere di successo, autore di Baciamo le mani (Mondadori 1973), pietra miliare nella storia dei romanzi di mafia.

«Non si finisce per sbaglio in una cassa di noce quando qualcuno ti scarica addosso l’ intero caricatore di una Browning, e don Ciccio Scalise quei colpi se li era presi tutti». Don Ciccio Scalise, dunque, è passato al Creatore e ora la sua unica preoccupazione è quella di «dover assomigliare solo a se stesso: se ne sta immobile, a braccia conserte, in una cassa di prima classe».

Vittorio Schiraldi scrive come un americano: frasi incisive e veloci. Che a volte si alternano con la frenesia di una scarica di proiettili. Le prime pagine di Made in Sicily ne sono una prova. Ad assistere il morto, uno scrittore di gialli di origine siciliana, da tempo oramai residente a Roma (costretto a inventare almeno tre polizieschi tascabili all’ anno firmandoli con lo pseudonimo di E. G. Lorraine), che si trova a Palermo per comprare la barca lussuosa di un suo vecchio amico. Suo malgrado, il romanziere protagonista della storia è a due passi dal defunto, costretto a scambiare battute con l’ uomo delle pompe funebri.

Intanto una mosca, cercando un impossibile varco, aveva preso a tormentare le narici del morto, tappate da fiocchi di ovatta, suscitando una smorfia di sdegno in un tizio con la faccia da killer: “E pensare che don Ciccio era uno che se gli saltava la mosca al naso” sbottò improvvisamente.

Dalla prima all’ultima pagina, il motore mobile dell’azione è una cifra ironica, a volte propriamente comica, che sa anche sfiorare il sarcasmo. E che ogni volta sottrae drammaticità alle cose per immergerle nel liquido amniotico di una atellana postmoderna.

Sembra infatti, questo romanzo di Schiraldi, una commedia degli equivoci. Il povero scrittore di gialli, infatti, per una serie indiavolata di equivoci, viene scambiato per il Liquidatore: ossia per l’emissario dei poteri sotterranei che da Roma manovrano i fili delle azioni delittuose che si consumano nell’Isola. Le riverenze, i baciamano, i saluti cifrati: al povero malcapitato vengono d’un tratto attribuiti i poteri di una sorta di inviato plenipotenziario. «Mi piaceva – dice a un certo punto il personaggio principale – vedermi inaspettatamente catapultato in una storia dove, per qualche ora, mi veniva regalato un ruolo da coprotagonista che altri sembravano preoccuparsi di scrivere per mio conto».

A questo punto, è come se a un tratto si aprisse una botola inattesa: che fa precipitare capricciosamente lo scrittore di gialli e insieme il lettore in una vicenda parallela, metaletteraria. Il gioco tra la realtà della finzione e l’immaginario cinematografico o romanzesco si affaccia di continuo dalle pagine di Schiraldi, aggiungendo un surplus di ironia, complicità e straniamento: «Ora riaprivo d’ improvviso gli occhi su quello che pareva il set di un film sulla fine di un boss di Atlantic City, magari interpretato da Joe Pesci»; oppure: «Di solito, in un film, in una situazione simile, il protagonista si rivolge a chi gli fa una minaccia del genere e lo sfida apertamente urlando: “Coraggio, sparami, allora, figlio di puttana”, e magari gli sputa in faccia».

Nel frattempo, una Palermo malinconica e riconoscibile, nella sua topografia come anche nei cortocircuiti mentali dei suoi abitanti, si tinge sempre più di rosso: i cadaveri fioccano, i portabagagli delle auto diventano troppo spesso loculi improvvisati. I killer hanno un incedere macchiettistico: l’ armamentario tipico che passa da un film di mafia all’altro diventa nelle pagine del romanzo qualcosa di volutamente manieristico.

A dare una sterzata alla trama, ci pensa addirittura il capo dei capi: la Persona, come si legge nel libro, che vuol servirsi dello scrittore di gialli per provare a vivere, sul limitare del tramonto, una vita normale. Il patriarca mafioso è uno che se la spassa: ha l’idromassaggio, almeno un rubinetto d’oro. Una palestra, la sauna e il bagno turco. è un abile gourmet, se ne intende di quadri. Ha in testa almeno due progetti: visitare una mostra e andare allo stadio «a veder giocare il Palermo, ora che è diventato finalmente una squadra». È proprio sugli spalti della Favorita che Schiraldi riesce a sciogliere i nodi della vicenda, man mano ingarbugliatasi non poco.

Ci si diverte a leggere questo romanzo, anche se alla fine, la promessa che il risvolto di copertina avanza, ossia quella di «offrire uno spaccato lucido e impressionante di quel che è la mafia oggi», non viene mantenuta. Ma questo romanzo, chi vuole, può leggerlo per guardare a cosa nostra con un occhio visionario e farsesco. Il resto lo facciano i sociologi e i giornalisti.

maggio 2008

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