Dic 14

Parliamo di “Disìo” di Silvana Grasso

(di GIULIO FERRONI)

E’ sempre più difficile oggi, far circolare esperienze di scrittura che, come quella di Silvana Grasso, si sprigionano dalla vita e dall’esistenza in tutte le sue forme.

La frase “espulsa dall’Etna con un boato” ci offre l’immagine di una Silvana Grasso che si presenta come l’anti-Empedocle, oppure come un Empedocle reincarnato dopo tanti secoli in femminili sembianze. Questo riferimento dà subito l’idea del profondo intreccio che c’è nella sua scrittura tra un fondo originario siciliano, popolare e dialettale, e la traccia viva ed invadente della cultura classica. Ed è un caso eccezionale che una scrittrice così immersa nel presente sia così sostanziata di grecità, di cultura antica.

Le vicende di Disìo e dei personaggi si intrecciano così a sotterranee tracce mitiche: e, non a caso, in ciò che vi si svolge nel cuore profondo della Sicilia si affacciano riferimenti singolari, come, per esempio, quello a Cerere e a Proserpina:

tra pietre scartocciate dal tempo avanzato al tramonto, con la corona di pipistrelli sbocciata sulla mia fronte come Proserpina nel dì di primavera, quando, dopo infinita notte, si congiunge alla madre che non smette di cercarla mai tra il fiato, la neve e il pesco fiorito.

Questo bellissimo riferimento al mito del rapimento di Proserpina e del suo ritorno alla madre non è affatto esornativo, non è mera prova di esibizione simbolica: piuttosto è legato fortemente al motivo dell’incontro-scontro con la figura materna, che è fondamentale nei primi capitoli del libro.

Nell’evocare l’espressionismo linguistico tipico di scrittori siciliani come Consolo, Silvana Grasso, alterna forme colte e ipercolte a forme che emergono dal basso: e lo fa con assoluta individualità, amplificando il dato della visceralità, l’attenzione al rapporto della parola con la biologia. Il suo realismo linguistico accentuato dall’uso del dialetto non mira tanto a dare evidenza alla realtà esterna, agli aspetti esteriori e visivi del mondo, ma si rivolge in primo luogo a trarre alla luce la dimensione biologica; è la più diretta e interna corporeità ad esprimersi attraverso il suo linguaggio.

Tra gli esempi più significativi di questa corporeità linguistica si può segnalare il ricordo dell’aborto della madre, che la protagonista ha vissuto da bambina, e che nel racconto assume tutti i segni dell’espulsione. Questa immagine di espulsione si ricollega ad altre immagini ad essa opposte, come quelle del contatto fisico e dello schiacciamento corporeo: come nell’episodio dello stupro subìto ad opera del Chiaramonte e in quello dell’incontro con Emilio, il personaggio della seconda parte del romanzo chiamato l’Anima. A questa dimensione biologica e viscerale allude del resto anche l’esercizio, da parte della protagonista, della professione di medico.
Il romanzo è costruito su strutture dicotomiche di fondo: si passa infatti da una prima parte tutta in prima persona, fatta di immersioni nella memoria, ad una seconda parte, narrata in terza persona per poi tornare nuovamente al punto di vista soggettivo; ed ancora ‘doppio’ è il motivo dell’abbandono della Sicilia e poi del ritorno in questa terra, toccato in note di un pessimismo ancora più radicale rispetto al resto della letteratura siciliana sulla mafia. Della ambivalente realtà isolana, la Grasso sottolinea soprattutto la coesistenza tra la bellezza degli scenari naturali e il degrado, la sporcizia, la desolazione di certi contesti sociali: “il concetto era atavico, la contaminazione della bellezza, il suo sfregio, erano quasi una reazione immunitaria al Bello, alla sua onnipotenza, e valeva per tutta la Sicilia”.

Spicca inoltre nella seconda parte, nella rappresentazione del tessuto corrotto della Sicilia mafiosa, la voluta immissione, quasi a controcanto, non solo di motivi mitici, ma anche di evocazioni musicali: e si impone, per la raffinata sottigliezza con cui viene modulato, il parallelo tra la vicenda di Emilio, l’Anima, e l’ultima opera di Puccini, la Turandot, continuamente citata, con brillantissime variazioni.

2006

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