(di DANIELA SESSA)
Due sono i nodi concettuali del romanzo d’esordio Donne di tipo 1 di Roberta Casasole (Feltrinelli 2024). Il primo è il titolo della tesi di dottorato di Giovanna, la protagonista, “John Fante vs tutti. Al rogo empirica e soggettività. Dimostrazione scientifica che John Fante è il più grande scrittore d’America”. Al di là della reboante prosa, non ne voglia Fante il quale è un grande scrittore ma non il più grande (per fortuna la letteratura americana ha un elenco lungo di grandi scrittori, come dire a ciascuno il suo), occorre intanto lanciare un avvertimento. Giovanna non ha scritto la tesi, usa termini come ’empirica’ e ‘scientifica’ come malfunzionanti grimaldelli della narrativa del reale e, di contro, il rogo sul quale bruciare la soggettività non lo ha mai acceso, anzi tutta la sua percezione del reale e azione sul reale scaturiscono da una soggettività pari a una cinepresa abilitata solo a inquadrature a tutto campo. Il secondo è come il dettaglio del diavolo. Nel cortile dell’Università, dove Giovanna lavora come assistente del professor Walter Mazzetti, è riverso uno studente con una ferita in testa causata da una spillatrice lanciata da una finestra: Giovanna guarda la scena dall’alto «incrociando le braccia dietro la schiena» (p. 74). Casasole insinua il dubbio sul responsabile del lancio per poi far lanciare a Giovanna nelle restanti pagine ogni tipo di oggetto contundente, i più pericolosi dei quali si rivelano i tomi della biblioteca universitaria dove stazionano i dottorandi e dove c’è la bibliotecaria Cecilia, laureata in Archivistica, che tiene il topo Momò nella manica della giacca.
Nodi concettuali, si diceva, ma è chiaro che il concetto viene risolto dalla scrittura pirotecnica di Casasole, capace di dispiegare nel giro di una frase tutte le gradazioni del comico, da quello di situazione come nella scena della conferenza di Mazzetti sul racconto inedito (in effetti inesistente di John Fante) al slapstick delle gag dentro gli uffici dell’Università o dell’INPS, fino al dark humor che irrompe nella scena della metropolitana in cui Giovanna difende una donna da un’aggressione e soprattutto incarnato nelle inquietanti figure di Jamina Calderasa del Mandrione e del figlioletto Ian “il bambino aristotelico”. La mendicante, cartomante, maga Jamina palesa il gioco di Casasole con la materia chisciottesca. Non è solo assonanza con la Dulcinea di Cervantes, della quale Jamina ricorda a tratti la rude schiettezza: è tutto il romanzo di Casasole un’eco delle disavventure di Chisciotte, perchè Giovanna J. Giò, più volte etichettata come pazza, si muove nel suo mondo, fatto di una camera in affitto e delle stanze dell’ateneo e nell’ultima parte nella tenuta malconcia ereditata dal padre, con la lancia in resta per finire a combattere contro decine di mulini a vento. Ma Giovanna non è pazza. È affetta da Sindrome Premestruale Perenne, la cui gravità oscilla in una banda di livelli in cui ad azioni inconsapevoli altrui corrispondono sue reazioni contrarie e mai uguali (le leggi della fisica e della psicologia non si applicano a Giovanna). Giovanna è una donna di tipo 1, perché la Sindrome di cui tutte le donne sono affette in lei si manifesta nella forma più grave tanto da dover richiedere, a suo parere, un riconoscimento da parte del Sistema Sanitario Nazionale, al quale Giovanna si rivolge da anni senza che nessun funzionario abbia preso seriamente in considerazione la patologia, eccetto Aurelio Piccardi che però arriva fuori tempo massimo. Quando la pratica sta per essere accolta, Giovanna ha già trovato la sua dimensione dentro una vita a contatto con la natura e con il profitto derivante dal turismo green, contro il quale la penna di Casasole si accanisce con la scure della comicità.
Bastano poche righe per comprendere che Donne di tipo 1 è un romanzo a dir poco grottesco. Una serie lunghissima di personaggi sfila nelle pagine, da un lato rinverdendo la narrativa corale propria della letteratura italiana (anche una sola pennellata crea il personaggio), dall’altro divertendo il lettore con una bulimia inventiva degna della migliore tradizione comica contemporanea da Ammaniti di E la festa cominci a Stefano Benni. L’arrivo della notizia della morte di Stefano Benni, nel tempo della scrittura di questo articolo, assomiglia al post it sulla fronte, ferita dal lancio di un libro, di Pasquale Colella, collega di Giovanna. Il post.it è Bar sport, il libro di Benni del 1976, il classico della narrativa umoristica contemporanea, il racconto irriverente tra il grottesco e il surreale del bar, il luogo di ritrovo popolare attraverso cui osservare la quotidianità molto più variegata e incredibile di quanto si pensi. Un modello stilistico per Casasole potrebbe dirsi proprio Benni, perché Casasole offre un quadro della nostra società impietoso tanto quello degli anni di Benni. Non c’è un aspetto che Casasole abbia trascurato elevando ogni spazio del suo romanzo (Università, Enti Statali, Impresa) a simbolo dell’incompetenza, della corruzione, del demerito, della truffa, dell’ignoranza, dell’approssimazione che regna nella nostra società. Lo sguardo severissimo, tanto più se veicolato dalla risata, di Casasole lascia al lettore – Pirandello docet – la necessità di sentire il contrario. Ma senza intenzioni palingenetiche. Il romanzo di Casasole è di un nichilismo esilarante. Non c’è redenzione, su tutto regna la derisione ai limiti del dileggio. Regna soprattutto il disincanto e provocazione. Il libro è una sfida alla narrazione dell’universo femminile contemporaneo.
Donne di tipo 1 è epica dell’estrogeno. Tanto più le femministe del nuovo millennio puntano sul livello di testosterone in dotazione per combattere le loro battaglie sulla parità, dirottando per eventuale compensazione sulla grammatica dello schwa, tanto più Casasole si accanisce dando corpo a un personaggio femminile insopportabile, in preda alla violenza verbale e fisica, assalita da sbalzi d’umore insostenibili, apparentemente priva di sentimenti, crogiolata nella sua solitudine, nemica dell’amore, presuntuosa e volitiva a parole, in effetti inconcludente tanto quanto il professore di cui vuole essere erede. Casasole non distrugge solo il contesto in cui si muove Giovanna, ma la stessa idea delle donne. La Sindrome è un alibi, travestito di rabbia, falso e vero nello stesso tempo. Casasole ha intenzione di spiazzare il lettore puntando sui personaggi e con Giovanna si è spinta fino alle estreme conseguenze. Perché Giovanna è una donna bellissima, seducente, perfettamente conscia della sua bellezza. Ma Casasole ci presenta non un personaggio ma un auspicabile prototipo femminile ossia una donna che non fa della bellezza un mezzo per far carriera, che anzi si invera nel personaggio di Corrado la virago che manda in crisi tutte le manfrine sull’identità di genere.
Il libro di Casasole è davvero un esordio straordinario anche per le citazioni letterarie. Si può definire uno strambo sunto della letteratura del ‘900. E un modo nuovo di raccontare John Fante, il quale plana nel romanzo ad ali spiegate e si fa doppio di Giovanna nel dissacrare e denunciare la realtà. Un romanzo cinematografico che piacerebbe a Gabriele Manetti. In fondo chi è più Freaks Out di Corrado, Pasquale, Cecilia, Jamina, Ian e Giovanna?
