N. Lagioia, La ferocia
Michele in treno per Bari
“Potevano costruirci sopra i capannoni delle grandi imprese agricole, i frangivista per le serre, pensò Michele con la testa poggiata al finestrino dell’Eurostar. Osservava il paesaggio che scorreva verso sud. Sulle ginocchia reggeva il trasportino dentro il quale la gatta se ne stava tranquilla dall’inizio del viaggio. Potevano farci i cementifici. Le pale eoliche che aveva visto prima. L’ingegno umano era libero di inventarsi le architetture più strambe, quelle che più lo illudevano di staccare l’ombra dl terreno che le aveva generate. Ma il fondo delle cose (l’umida terra sotto le pale eoliche, il verme nella serra, la bianca polvere che si levava ovunque) restava chiuso nel suo mistero. Erano i boschi di sempre. Tipo segue pifferaio. Carrozza diventa zucca. Lupo mangia maialino. Ragazza in fondo al pozzo. Specchio specchio…”
(pag. 158)
Michele e il dott. Lopez a Bari vecchia
“Dal cielo si diffondeva una luminosità bianca e trasparente, senza che si capisse dove era la luna. Erano usciti su via Corridoni, li circondavano i palazzi che facevano da cintura protettiva alla città vecchia. Il medico si infilò tra i vicoli del centro medievale, Michele lo seguì. Alle spalle si avvertiva la grande facciata dell’ex convento domenicano, tagliata dal torrione dell’orologio. Passarono sotto un arco di tufo. Superarono un’edicola votiva. I loro passi riecheggiavano nel groviglio di strade deserte. Dopo altri vicoli si trovarono fuori dalle mura, dalla parte opposta rispetto a dove erano entrati. Davanti a loro il nero dell’Adriatico. I lampioni del lungomare, le lucide gli alberghi e dei palazzi monumentali. Li osservavano come dall’età di una collina.”
(pag. 382)
Michele ritorna a casa
“Michele continuava a ripensarci tornando a piedi a casa di suo padre. Dopo essere uscito dal locale, aveva superato per intero via della Repubblica. Ora avanzava su via Giulio Petroni. Stanco, intorpidito, attraversava gli ultimi mulinelli di vento notturno. Un’azione concreta, volontaria. Superò il distributore IP. Guardò i giardini delle ville ancora avvolti nell’ombra. Il silenzio degli irrigatori. La vecchia fermata del diciannove. Sentì una stretta allo stomaco. Non c’era più nemmeno il chiosco dei panini. Lungo il percorso, dal centro alla periferia residenziale, aveva guardato senza sosta a bordo strada. Sotto le auto parcheggiate. I marciapiedi. La gatta. Morta anche lei. Le chiome dei cipressi. Vide la facciata della villa. Farlo in luogo di non farlo. Sentiva la sua voce.”
(pagg. 390-391)
