«Dal punto un po’ eminente ov’eravamo, di quest’isola che un braccio brevissimo di mare separava dall’altr’isola grande di Sicilia, si scorgean il bacino con le molte vasche ove l’acqua man mano evaporava, i molini a vento che per canali e chiuse la sospingeano da una vasca all’altra, i cumuli a piramidi bianchissime di sale della grande salina là di fronte. Si scorgeano anche, ignudi e neri contra il biancore abbacinante di quel sale, i salinari che vi lavoravano, macinavano, cernevano, caricavano il sale sopra i carri e gli schifazzi che per terra e per mare là giungevano, di là partivano pel mondo».
Vincenzo Consolo, Retablo, cit., p. 121.
«Camminando, s’appressava a noi, sorgendo appena da quello spesso mare evaporato, il bel teatro delle mura gialle, con torri e porte che lungo la spiaggia concludevano l’isola e il verdeggiare suo di terebinti, palme, ampelodesmi, pini d’Aleppo, ferule, agavi, giunchiglie, nell’intensa e calda, nella corposa luce dello specchio d’acque, luce fenicia, di riflesso porpora, di vetro o di conchiglia, che avvampa e assolve ogni più vera, dura consistenza».
Vincenzo Consolo, Retablo, cit., p. 112.
