«Solitaria e infocata, serrata e ostile quale una fortezza, o promettente quale un miraggio, o quale la reale visione della bramata Mecca o di Gerusalemme alla fine del viaggio, o d’un palmizio nel mezzo d’un deserto sconfinato. Tale si presentava, in sul calar del sole, murata, merlata, turrita e vaga di giardini ai piè del declivio dolce del monte Bonifato. E dentro eran muri che cingevano cortili in cui s’aprivano usci delle case, salivano scale, guardavano archi sopra archi, soggette e finestrelle e balconcini difesi di panciute inferriate. Dai muri poi svettavano le palme, traboccavano manti di gelsomino, di setose dature immacolate, di cupe campanule vermiglie».
Vincenzo Consolo, Retablo, cit., p. 34.
