Maravigliosamente
un amor mi distringe
Questi versi di un antico poeta della mia terra, Jacopo da Lentini, mi aiutano a iniziare un discorso un po’ difficile sul punto più segreto, sebbene in apparenza maggiormente evidente, di rotazione della mia poesia. La parola isola, o la Sicilia, s’identificano nell’estremo tentativo di accordi col mondo esterno e con la probabile sintassi lirica. Potrei dire che la mia terra è “dolore attivo”, al quale si richiama una parte della memoria quando nasce un dialogo interiore con una persona lontana o passata all’altra riva degli affetti. Potrei dire altro: forse perché le immagini si formano sempre nel proprio dialetto e l’interlocutore immaginario abita le mie valli, cammina lungo i miei fiumi. E sarebbe un’indicazione sempre vaga, un voler determinare una matematica là dove non c’è che il mormorìo dei primi numeri. Ma poi: quale poeta non ha posto la sua siepe come confine del mondo come limite dove il suo sguardo arriva più distintamente? La mia siepe è la Sicilia; una siepe che chiude antichissime civiltà e necropoli e latomìe e telamoni spezzati sull’erba e cave di salgemma e zolfare e donne in pianto da secoli per i figli uccisi, e furori contenuti o scatenati, banditi per amore o per giustizia .
Salvatore Quasimodo, Una poetica, in Poesie e discorsi sulla poesia, a cura e con introduzione di G. Finzi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1971, p. 277.
