Nell’ultimo romanzo di Roberto Alajmo, Cuore di madre, il senso di incompiutezza e di necessità che qualcosa intervenga a modificare il corso degli eventi, che può venir fuori ad una prima lettura, cede il posto ad un senso di sospensione temporale che si insinua nella realtà delle cose, la penetra e la possiede.
Le azioni dei personaggi, nella loro ripetitività, nel loro avvicendarsi monotono e quotidiano, la sicurezza trasmessa loro dagli oggetti e dai gesti ripetuti, spesso fine a se stessi (ad esempio, il recarsi all’officina quotidianamente, pur sapendo che quasi certamente nessuno vi si recherà), la stessa monotonia e ripetitività di un clima torrido, asfissiante, opprimente, ci forniscono un’immagine temporale fissa, quasi sospesa, in una visione immobile degli avvenimenti che si compiono in un determinato modo e non altrimenti potrebbero compiersi.
Sembra quasi che l’intero paese sia lentamente scivolato in una zona d’ombra, “la zona del crepuscolo”, fuori dal tempo, fuori dal mondo. Il mondo esterno quasi non lo tocca; la televisione accesa è lì, muta, quasi a ricordare alla madre di Cosimo che esiste un “oltre”, che pur tuttavia non le interessa. Tutto si è fermato: Cosimo, nonostante il passare degli anni, non è mai cresciuto, la madre non ha mai smesso di occuparsi di lui, la Trimmutura non è mai “invecchiata”, ed ha continuato a prostituirsi. Persino la realtà stereotipata di un paese immaginario, che raccoglie in sé tutti i luoghi comuni cari a tanta letteratura isolana del passato, non può non trasmetterci questo senso di sospensione e di irrisolutezza.
Per questo è inevitabile che, quando la figura del bambino si inserisce in questo contesto ed interviene, come un elemento destabilizzante, a mutare la realtà degli eventi nella loro immobilità, egli debba sparire al più presto, e addirittura morire, sacrificato alla divinità temporale che regola la costanza e la risolutezza degli eventi. Ed il suo sacrificio serve. Ci si sbarazza di quel corpicino inerme nella maniera più sbrigativa possibile, e poi tutto può, deve, tornerà ad essere immobile come prima.
Il corso degli eventi riprende, quasi con una sorta di flashback, da dove s’era interrotto, da quel film, la cui proiezione ha preceduto l’evento che ha scardinato la situazione, chiudendo così la parentesi temporale apertasi come una falla nella piattezza di un percorso imprescindibile, come un buco temporale nel reticolato di un tempo non composito, ma continuo, liscio, immobile e stabile: eterno.
