Lug 08

Fin dove si può spingere l’amore di una madre

Quella di Cosimo Tumminia è una situazione comune ai nostri tempi: ragazzi non più troppo giovani che non riescono ad abbandonare il tetto familiare. Personaggi inetti che non riescono a staccarsi dalla loro “casa”, quasi privi di un lavoro e di un’occupazione che li carichi di responsabilità; antieroi che cercano l’indipendenza ma che non sono capaci di sostenerla.

Così Cosimo, vissuto sempre sotto la totale dipendenza dalla madre, con inerzia calca i passi di una vita che lo conduce e lo sospinge in una direzione che lui sente già segnata. E c’è da chiedersi da dove provenga tutto questo. Il “cuore” della madre di Cosimo, come e quando viene fuori nel libro?

La parte finale è ovviamente la rappresentazione più lampante della ‘generosità’ tipica delle mamme mediterranee, pronte a sacrificarsi per i propri figli. Uccidere il bambino, in vece del figlio, non fargli compiere un delitto, non fargli affrontare la vita, la realtà che lo circonda, è certamente una manifestazione profonda d’ ‘amore materno’. Ma così la madre non compie simultaneamente due delitti? Uno è sicuramente l’uccisione del bambino, e l’altro è l’annullamento dello stesso Cosimo, dell’adulto che potrebbe diventare prendendo in mano le redini della sua vita. Sarà dunque sepolto il corpicino del povero rapito, ma, insieme a questo, verrà seppellita per sempre anche la maturità di Cosimo: col bambino viene uccisa e abolita, per mano della madre, la possibilità di un qualsiasi ingresso di Cosimo nella dimensione degli adulti.

Ma il “cuore di madre” connota tutto il libro e si riscontra nell’atteggiamento che la donna ha nei confronti del figlio. Premure ed attenzioni, parole, comportamenti, azioni. Cosimo vive di riflesso alla madre e nonostante abbia ricercato la sua indipendenza ne rimane comunque bisognoso. Cosimo necessita di un po’ di privacy; ha percorso la strada che è tipica di un ragazzino che sente lo stimolo, il richiamo alla libertà, all’indipendenza ma che è incapace di trovarla. Cosimo dipende dalla madre materialmente, nei bisogni – potremmo dire – primari, ma anche mentalmente!

La vita di Cosimo è un continuo rapportarsi e relazionarsi alla figura materna, anche nel comprare le merendine, nel compiere determinate azioni; c’è sempre un richiamo, un’ossessione nei riguardi di ciò che la madre potrebbe pensare, dire, ordinargli.

Ma del resto Cosimo ha bisogno di tutto questo. E’ un immaturo, incapace di affrontare la vita. Vuole che la madre decida per lui, che scopra il piccolo prigioniero, che continui a gestire la sua vita lasciandogli appena un ritaglio, o un’illusione, d’indipendenza. Si è scavato un cantuccio in questo rapporto dove ha trovato comodità, abitudini, dove sa giostrarsi e sentirsi protetto.

Nel rapporto col bambino, il protagonista trasporta l’unica esperienza di cui sia stato mai partecipe, la sua, non pensando che i soggetti in causa stavolta sono cambiati. Quel bambino non è lui e lui non è sua madre, e mentre nel suo rapporto bastava un abbraccio, magari, per tornare alla pace, alla serenità, in questo caso, tutto ciò risulta impossibile.

Dunque Cosimo allontana ben volentieri quella “intromissione” nella sua vita: l'”alterità” rappresentata dal bambino viene respinta con forza, ed il protagonista lascia la madre padrona di gestire la situazione, e decide così di tornare nel suo cantuccio, nella monotonia di una vita priva di decisioni importanti, di responsabilità: insomma sceglie di far ritorno alla sola vita che conosce. La madre come sempre aggiusterà ogni cosa, compiendo anche quello che è un atto spaventoso, con quella freddezza che può essere solo dettata dall’amore materno – un amore diretto esclusivamente nei confronti di suo figlio -, perchè ha bisogno anche lei di Cosimo, del suo cantuccio, della sua vita.

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