Mag 22

Michele Perriera – Il romboide

La ristampa de Il romboide di Michele Perriera (Prova d’autore, 152 pagine, 12 euro) ha un’ambigua natura bifronte: se è vero infatti che le prime sessanta pagine sono rimaste intatte, come nella prima edizione del romanzo (Lerici), le rimanenti presentano parecchie varianti. C’è dunque, nell’imo del libro, il Perriera legato alla fantomatica “Scuola di Palermo”, ma nello stesso tempo il Perriera che ha abiurato, lasciandosi alle spalle quella esperienza di estremismi ed equivoci.

Una sorta di ambiguo, serpentesco Giano cartaceo, questo Romboide: che però, una volta riletto, si configura alla stregua di una ricapitolazione, di una vertiginosa sintesi. In forza di tutto questo, non si può che provare una sorta di spaesamento: la scrittura metallica e labirintica, a volte iperrealistica, che si aggroviglia in viluppi di parole, avverbi, e che si appoggia a una sintassi ostica e beffeggiata, pagina dopo pagina lascia spazio infatti a una pronuncia meno destabilizzante. C’è di più: in quelle sessanta pagine cristallizzate, è possibile scorgere l’incunabolo che porta dritto dritto Perriera al teatro: il gusto teatrale per le messinscene e per le apparizioni, e soprattutto la parola come gesto fonico, come parte integrante della gestualità, del modo d’essere del personaggio.

Ora, tutto questo bagaglio l’autore di La spola infinita l’avrebbe in seguito trasferito nella pratica teatrale, strappandolo in un certo senso alla sua scrittura narrativa. Da Il romboide in avanti, infatti, la prosa di Perriera si caratterizzerà per un impianto meno destabilizzato: l’ empito anarcoide, qui presente, non troverà più spazio nelle opere successive, dal libro A presto in poi.

La sua cifra stilistica sarà più cristallina, si contaminerà col linguaggio del melodramma, pur mantenendo un margine di originalità e di tensione non indifferenti. Addirittura, l’autore a un certo punto farà pure uso dello schema del giallo, quasi prendendolo in prestito da Durrenmatt, per dar forma a romanzi molto contigui, per atmosfera e per impalcatura, ai capolavori di Gorge Orwell e di Kurt Vonnegut.

Ma torniamo al Romboide: il protagonista della storia, attraverso un ripiegamento analettico, ripercorre all’ inizio le tappe della sua infanzia, tragicamente segnata dalle violenze inflittegli da Alfio, compagno della madre. Nella quarta di copertina dell’edizione Lerici, erano subito specificate le coordinate geografiche: un Sud come «luogo storico elettivo», con la sua «urlante vitalità che urta (barcollando) contro un passato di miseria e di misteri e un presente di malizie e di fallimenti verniciati di modernismo e di tecnologia».

Un Sud riconoscibilissimo, in cui si consumano abusi e prepotenze: come quelle a cui assiste l’antieroe di Perriera, ossia l’uccisione di alcuni bambini ciechi. Come nel romanzo di Saramago, Cecità, un virus mostruoso e sconosciuto nelle pagine dello scrittore palermitano toglie la vista ai più piccoli (un virus paradossalmente provvidenziale, viene da dire, che li priva dello spettacolo immondo di un’ umanità decaduta e irriconoscibile). Il killer si accorge del testimone, e cerca di farlo fuori. Non ci riesce, ma gli trancia le gambe. Sebbene dimezzato, come il visconte di Italo Calvino, il protagonista non riesce a starsene tranquillo: lui è schierato dalla parte dei più deboli. Ma è solo: il potere costituito si mostra infatti sordo e insensibile. La corruzione dilaga a tutti i livelli. «Che cosa ci aspetta – si chiede a un certo momento – se non impediamo ai potenti di fare di noi dei servi dell’assenza, della menzogna, della minaccia dei più forti?».

Inutile dire che qui c’è tutto il Perriera a venire: da Finirà questa malia? a La casa. Il Perriera che non ha smesso un secondo di riflettere immaginificamente sulla degenerazione del potere e di metterci in guardia, con la sua parola di profeta postumo.

maggio 2008

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