Gli «anni del benessere», le televisioni commerciali, il distretto industriale e il travolgente sogno del «made in Italy»; e ancora, il vitalismo ostentato e il suo rovescio disperato, imposti come modello collettivo da una classe dirigente irresponsabile a tutto il resto del Paese: sono questi i motivi che ricorrono all’interno dell’ultimo romanzo dello scrittore toscano, Edoardo Nesi. Scrivendo L’età dell’oro, raccontando il decennio Ottanta in Italia e il miracolo economico che lo ha accompagnato, egli ha provato a restituircene speranze e illusioni, la prospettiva facile dei guadagni e il suo sottofondo sordo di egoismi, cinismo e compromessi.
Prato nel 2010 è ormai solo un’immagine sbiadita del poco che resta del «miracolo italiano», del disegno produttivo che pareva averne affidato la sicura e facile realizzazione alla piccola e media impresa; Ivo Barrocciai, in quello stesso 2010, è ormai solo il fantasma di se stesso, del capace e intraprendente imprenditore tessile che era stato in grado di accumulare una considerevole fortuna con la spregiudicata e intelligente conduzione della piccola azienda familiare.
La scelta di Nesi, di ambientare il romanzo in un’epoca futura, quando dell’età dell’oro restano solo le ceneri, è funzionale all’intenzione di far partecipe il lettore del sottilissimo senso di nostalgia che accompagna il protagonista quando si ritrova a contemplare il paesaggio desolato di una stagione di cui tutto può considerarsi irrimediabilmente perduto.
Nel 2010, infatti, dopo aver vissuto credendosi immortale, con l’ostinata illusione di potere trasferire il sogno americano del Grande Gatsby nella piccola provincia italiana, Ivo Barrocciai è ormai solo un settantenne con un irreversibile fallimento finanziario alle spalle e un male incurabile che gli concede pochissimo tempo da vivere. Seguendo il filo di una narrazione che si sviluppa per continui flashback, il lettore apprende gradualmente del disegno finale del protagonista: usare le tecniche di inseminazione artificiale per avere dalla giovanissima paziente di una clinica psichiatrica il figlio che le altre donne della sua vita non hanno saputo dargli, l’erede in grado di reinventare il sogno vitalistico del padre.
Caterina, questo il nome della ragazza scelta da Ivo, soffre da tempo di una fortissima depressione: su internet, l’ex ragazzo ne ha diffuso il video degli incontri intimi facendone un’involontaria diva del porno. Ivo la incontra quando, per curare l’esaurimento nervoso procuratogli dal fallimento dell’azienda, si ritrova pure lui ospite nella stessa casa psichiatrica. Una volta dimesso, consapevole del poco tempo che gli resta a disposizione, prova a realizzare il suo folle e disperato progetto, e, in fuga con la ragazza, dà inizio al travolgente viaggio che nelle sue intenzioni dovrebbe portarlo alla clinica dove molti anni prima si era preoccupato di far congelare il proprio seme.
Viaggio interminabile attraverso gli orrori del nostro vivere quotidiano – l’amore ai tempi di Internet, le solitudini metropolitane, lo smarrimento e le disperazioni favorite dalla turpe e livida «società dello spettacolo» – il lettore non fatica ad accorgersi che la circostanza del viaggio si trasforma presto per i protagonisti nell’occasione per compiere uno scandaglio dentro se stessi, alla riscoperta di desideri ingenui e illusioni frustrate, fino al fondo oscuro di angosce personali e inconfessate.
Per compiere questa ricognizione Nesi si affida a una lingua scabra, referenziale, sostanzialmente estranea alla tentazione di qualsiasi preziosismo o formalismo. Sul piano strutturale, invece, manca al romanzo una sostanziale unità di fondo, e si ha spesso l’impressione che a sezioni più riuscite ne seguano altre di minore impatto e forza evocativa. Si avverte, soprattutto, l’assenza di una diagnosi sociale, politica, antropologica, più approfondita degli anni che qui Nesi sottilmente metaforizza attraverso il ricorso all’immagine mitica dell’età dell’oro; anche se va riconosciuto allo scrittore toscano il merito di avere comunque colto, nel racconto dell’ascesa e del declino di un piccolo dandy di provincia, almeno alcuni dei caratteri essenziali di quella stagione, di essere, quantomeno, riuscito a restituircene il sapore amaro di cenere che ne resta in bocca.
novembre 2006
Edoardo Nesi, L’età dell’oro, Bompiani, Milano 2004
