Lug 22

Ugo Riccarelli – Il dolore perfetto

(di CINZIA PINELLO)

Vincitore del Premio Strega nel 2004, Il dolore perfetto, è un corposo romanzo corale che narra la storia di due famiglie i cui destini si incrociano col susseguirsi di varie generazioni, lungo l’arco temporale che va dall’Unità d’Italia al secondo dopoguerra.

Una vera e propria epopea, tutta narrata in terza persona da una voce esterna e onnisciente che dispone gli avvenimenti su un asse temporale non lineare, avvalendosi di continui flash-back e prolessi. Riccarelli si muove con grande padronanza all’interno della materia narrativa e riesce a creare una forte suspance che coinvolge il lettore per tutta la durata della vicenda.

Lo scrittore adotta uno stile sorvegliato e sfaccettato, sa infatti spostarsi abilmente da un tono fiabesco e poetico, ad uno realistico e crudo, fino a raggiungere, a volte, una vera e propria deformazione espressionistica, come nel caso dei due parti di ‘grumi di carne viva’, di chiara ascendenza derobertiana:

Quando l’Ulisse arrivò dall’osteria […] la Rosa aveva appena spinto fuori da se stessa un grumo rosso e bagnato che subito aveva cominciato a belare come un capretto. […] La Maddalena invece sembrava raggiante e ora, lavata e asciugata quella salsiccia, l’avvolgeva in un panno e la baciava, e la carezzava. [corsivo mio] (pp.39-40).

Nel vederla in quello stato, rossa e stravolta per lo sforzo, gemente e con un grumo di carne viva tra le mani, si perse d’animo, cominciò a mormorare e a piagnucolare così che, paradossalmente, dovette essere proprio l’Annina a rincuorarlo. [corsivo mio] (p. 208).

Come si evince dai due brani sopraccitati, i destini dei vari membri delle due famiglie protagoniste (l’una fondata dall’anarchico Maestro e dalla vedova Bartoli e mai legittimata dal matrimonio, e l’altra, legittima, ma presto spezzata, dei Bertorelli) si ripetono a distanza di tempo, come anche i loro nomi, segnando indelebilmente le loro scelte e le loro inclinazioni. Il vero protagonista della narrazione è il Tempo: un tempo circolare nel quale tutto cambia, per poi però tornare puntualmente uguale.

Le pagine di questo romanzo sono un catalogo di destini, di vite possibili segnate da un ‘dolore perfetto’, che Riccarelli, in un’intervista di Silvia Gigli, definisce come “un rumore che la vita porta con sé […] un motore che ti spinge avanti” (www.coopfirenze.it). È un sentimento tanto acuto che, pur avendo diverse matrici e diverse manifestazioni, accomuna tutti gli esseri viventi. Un dolore che compare puntuale come il ritornello di una canzone e spesso affonda le proprie radici nella Storia.

Quest’ultima è l’altra grande protagonista del romanzo in cui vi è un continuo intersecarsi di macrostoria e microstoria: gli eventi dell’Unità d’Italia, delle due guerre mondiali e del fascismo si scontrano con le vicende private degli abitanti di un piccolo paesino della provincia toscana, Colle. La macrostoria ha uno scorrere rapidissimo, travolgente, di contro la vita dei singoli procede lentamente, ha una andamento cadenzato che difficilmente sa adattarsi al ritmo del progresso, delle trasformazioni. Lo spirito stesso del piccolo borgo muterà al punto tale che Colle, oltre alla sua vecchia fisionomia, perderà anche la parola: i suoi abitanti dotati dell’“innata capacità di narrare le cose della vita come piaceva a loro, e non alla vita” (p.132), resteranno per la prima volta muti davanti alle atrocità della guerra, “la fantasia narrativa di tutto il paese si arrende di fronte all’immensità di quel dolore” (ibidem).

Tale afasia svela di riflesso il ruolo fondamentale che, in tutto il romanzo, ha la parola. È un continuo susseguirsi di racconti scambiati e tramandati di generazione in generazione, con una perseveranza e una meticolosità rivelatori.

[L’Annina] Cullò se stessa, e il suo futuro, attraverso le storie di cos’era stato, nel bene e nel male, lo spirito di Colle, da quando il Maestro era sceso dalla ferrovia a quando il suo ultimo figlio aveva toccato con mano la galera e il tradimento.
“Se tutto rischia di morire, che almeno il filo della vita di questo luogo possa arrotolarsi e srotolarsi attraverso le sue parole” pensò l’Annina in quelle giornate di nuova solitudine – e se proprio un filo c’era, nelle sue storie, allora le sembrò che narrarlo fosse il solo scopo di tanta vita. (p. 198)

Il senso vero e ultimo della vita è affidato alle parole: sono esse, infatti, che, facendosi depositarie della Memoria, veicolano le esperienze di un uomo, di una famiglia, di un’intera comunità.

All’interno dei tanti racconti dall’impianto narrativo, in buona parte, realistico e autobiografico (come svela la dedica del romanzo, alla madre e alla nonna, Annina) l’autore però innesta una forte tramatura simbolica. Uno dei simboli più ricorrenti nel romanzo è il treno, chiara immagine del progresso: la ferrovia, dalla sua costruzione alla sua distruzione, segna le fasi della storia, la trasformazione irrefrenabile a cui sono sottoposti luoghi e persone. Merita poi di essere ricordato l’enorme macchinario, ideato da uno dei personaggi per dimostrare l’esistenza del moto perpetuo, simbolo della libertà di pensiero e, non a caso, battezzato ‘Libertà’ dal suo stesso inventore.

Oltre al simbolismo, serpeggia all’interno della narrazione di Riccarelli un’atmosfera misteriosa e magica; non a torto infatti lo scrittore è stato spesso paragonato a Gabriel Garcìa Marquez e la sua Colle ad una piccola Macondo nostrana, abitata dai Bartoli e dai Bertorelli piuttosto che dai Buendìa.

Le stranezze e l’assurdità di questo mondo, come quello di Marquez appunto, trovano una sorta di legittimazione nella frase gaddiana posta in esergo al romanzo: “Gadda non è barocco. Barocco è il mondo”. Una frase sempre valida, che bene si colloca ad apertura di un libro avente come protagonista proprio la ciclicità del Tempo che, con la sua ripetitività, rende spesso assurdo l’operato degli uomini.

Ugo Riccarelli, Il dolore perfetto,
Arnoldo Mondatori, 2005

luglio 2005

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