«Qua e là, tra le distese grigie del tufo e i mucchi rossastri dei detriti della fusione, sbocciano improvvisamente come grandi fiori gialli, i mucchi dello zolfo già fuso ed accatastato, pronto per essere spedito. Queste cataste vengono fatte in prossimità dei forni e dei calcheroni, che sono i luoghi della fusione; a sistema moderno, i primi, a modo antico, i secondi. I calcheroni, mucchi di minerale più minuto, a cono, sembrano piccolissimi vulcani a catena; i forni, piatte costruzioni in miniatura, hanno nell’interno la forma di botti di vino, col mezzule e la spina e l’ampio cocchiume aperto, dal quale, per certi soppalchi praticabili, viene versato il minerale grezzo. Lo zolfo, acceso nell’interno, filtra attraverso i residui che non fondono, e viene fuori dalla spina, in un liquido scuro, ancora denso, sfrigolante di fiammelle azzurrognole, tra vapori acri e irrespirabili. […] Di notte la miniera è appena segnata da grappoli di lampadine. Ma nel suo grembo infuocato il lavoro non si arresta nemmeno durante la notte».
Nino Savarese, La Sicilia nei suoi aspetti poco noti od ignorati, in Aa. Vv., Delle cose di Sicilia. Testi inediti o rari, (volume quarto), Sellerio, Palermo 1986, pp. 256-7.
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